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Le pescatrici - opera di Alessandro Bruschetti (copyright) |
Margherita
Qualcuno crede che essere pazienti significhi subire passivamente ingiustizie o prevaricazioni, tipo mandare giù bocconi amari e sopportare ad oltranza situazioni insostenibili, magari covando sentimenti di odio o rancore.
Sicuramente questa non è la pazienza di cui si parla quando ci riferiamo a quel sentimento d'amore che accompagna la vita con fiduciosa attesa, perché ciò che era da fare è stato fatto e ormai dipende da noi solo la parte che concerne la paziente attesa degli sviluppi.
Come quando il pescatore getta le reti e sa che ne ha riparato tutti i buchi, conosce le correnti del luogo che ha scelto, insomma ha predisposto ogni cosa in modo che la pesca risulti proficua, a questo punto solo la pazienza e poi la sua abilità nel ritirare le reti garantiranno un abbondante pesca.
Quello che riguarda invece quel sentimento di rancore e sopportazione che scambiamo per pazienza è piuttosto un'emozione sulla quale possiamo agire attivamente invocando la benedizione della vera pazienza.
Che quando arriva fa cadere ogni critica nei confronti dell'altro, non perché non si vedano più gli errori, ma perché scatta quel sentimento di compassione, che fa si che possiamo accettare tutto e tutti per come sono, comprendendo i loro comportamenti come il loro limite attuale.
Da questo punto di vista tutto ciò che viviamo e che richiede pazienza, può solo insegnarci che gli ostacoli devono essere gli stimoli per guadagnare e non per perdere, autostima, fiducia, coraggio, serenità.
La vita ci insegna, che se di fatto stiamo ristagnando in una situazione che non ci piace e che non tende a sbloccarsi significa che la stiamo sopportando e che contribuiamo inconsciamente a perpetuarla quindi, o non ci abbiamo lavorato abbastanza, oppure lo facciamo in modo inefficace.
A questo punto so che qualcuno potrà dire:"ma come?.... io ce la sto mettendo tutta e tu dici che non ho fatto abbastanza o che ho sbagliato tutto!" Grazie per la comprensione!!!"
Si è vero, finora hai resistito con quella che abbiamo visto essere una tenace ed incrollabile "così detta pazienza".
Quando scopri la vera pazienza, trovi anche la forza e il coraggio di fare cose di cui prima non ti sentivi capace, come quella di andartene da situazioni che ti stanno strette, tanto più che sai che dovrai accettare, per ora, di non essere capito.
Tempo fa se qualcuno mi diceva che non gli piaceva qualcosa di me, o qualche mio comportamento, restavo male e provavo risentimento, fino a quando ho realizzato che se io mi piaccio e soprattutto riesco ad accettarmi per come sono, qualunque critica negativa che mi venga rivolta, mi lascia emotivamente indifferente.
Fermo restando il fatto che una critica costruttiva, che punti ad un difetto, oggi riesco ad accoglierla, senza per altro mettere in discussione la mia autostima.
In coscienza però so che quando ci sono resistenze a voler ammettere una certa verità su noi stessi, più che accettare si tende a incolpare l'altro per averci giudicato aspramente.
Ecco è qui che mi sono accorta, che desideriamo sentirci dire sempre delle cose belle, perché almeno gli altri possano accettarci, dato che noi stessi non ci stiamo accettando abbastanza.
Ne consegue che il lavoro da fare è ancora su di noi e precisamente sull'accettazione di noi stessi.
Ne consegue che il lavoro da fare è ancora su di noi e precisamente sull'accettazione di noi stessi.
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Se io mi piaccio le critiche le accoglierò come possibilità di riflessione, e ancora se mi piaccio ciò che io dico agli altri uscirà dal mio cuore con sincerità e amore, per questo non posso essere ferita dal fatto che l'altro fraintenda ciò che volevo esprimere, anche se di rimando mi tratterà sgarbatamente.
Potrò essere dispiaciuta per non essere riuscita a sintonizzarmi con l'altro, ma è proprio qui che entra in gioco la vera pazienza, che passa attraverso il cuore e si trasforma in resilienza.
Oggi naturalmente quando non gradisco consigli o pareri su di me preferisco non chiederli, ma se qualcuno li esprime comunque, anche se sono negativi non mi turba granché.
E se un poco ancora mi turba realizzo che il problema è un problema di comunicazione e allora mi chiedo se ho fatto tutto ciò che era in mio potere o se posso imparare ancora qualcosa sull'argomento.
Comprendere questo modo di essere pazienti significa lasciar andare anche l'eccesso di rigidità e di autocritica e soprattutto saper perdonare i nostri stessi errori, non per ripeterli ad oltranza, ma perché diventino delle pietre miliari che segnino il nostro cammino, e ci indichino che da quei punti non è più necessario passare.
Con questo spirito affrontare le avversità sarà più leggero, in modo particolare se ci adopereremo per ri-armonizzare la nostra luce interiore . Così invece che la brama di ottenere qualche risultato nel comportamento dell'altro, che soddisfi il nostro ego, coltivare la vera pazienza sarà un gradito compito per migliorare se stessi, nella fiducia, nel non giudizio e nel reale desiderio di cambiamento per un mondo migliore.